di Alberto Pucci
S. Margherita è una delle sante più antiche venerate in Italia[1]. La sua esistenza è avvolta nel mito. Numerose sono le versioni della vita di lei trascritte negli anni e non sempre concordanti fra loro[2]. I testi fondamentali, tuttavia, rimangono il Martirologio di Rabano Mauro[3] († 856) (figura 1) e la Legenda aurea di Jacobus de Voragine[4] († 1298).
Secondo quanto ci è stato tramandato, Margherita era una nobile fanciulla di Antiochia[5], vissuta probabilmente dal 275 al 290 d.C. Il suo nome, secondo la Legenda, deriverebbe da una pietra preziosa, la perla. Figlia di un sacerdote pagano, dopo la morte della madre fu allevata da una nutrice. La donna praticava segretamente il cristianesimo e istruì la giovinetta in questa religione. Quando Margherita tornò dal padre, ammise la sua fede e, per questo, fu cacciata da casa. Ritornò allora dalla nutrice che la adottò e la mise ad accudire le pecore. Un giorno, quando aveva ormai quindici anni, la vide il prefetto Olibrio. Costui, colpito dalla sua bellezza, ordinò che fosse portata al suo cospetto: l’avrebbe chiesta in sposa se fosse stata di condizione libera, oppure, se fosse stata schiava, l’avrebbe tenuta come concubina. Margherita, però, avendo consacrato la sua verginità a Dio, rifiutò il matrimonio proclamando la sua religione. Il prefetto, allora, per vendicarsi dell’umiliazione subita, la denunciò come cristiana e ordinò che il suo corpo fosse fustigato a sangue. Margherita, nonostante ciò, non cedette. Messa in prigione, nel carcere fu visitata dal demonio che le apparve sotto forma di drago e la inghiottì[6]. La giovane, tuttavia, con il crocifisso gli squarciò il ventre e uscì vittoriosa[7]. Dopo essere stata sottoposta a nuovi tormenti (bruciature in tutto il corpo con legni accesi e immersione in un recipiente pieno d’acqua affinché il dolore fosse ancora più intenso)[8], fu infine decapitata. Il martirio avvenne, probabilmente, durante le persecuzioni di Diocleziano e Massimiano[9].
Margherita si può considerare una delle sante più popolari del tardo medioevo. La sua immagine, di solito rappresentata con la croce e il drago ai piedi, è stata riprodotta con le tecniche più varie ed è molto diffusa in ogni parte del mondo[10].
Anche Pistoia e il suo territorio non potevano mancare di manifestare la loro devozione[11]. Il nome di S. Margherita di Antiochia compare nei calendari liturgici pistoiesi del Medioevo, sia in quello conservato nel codice C 115 dell’archivio capitolare di Pistoia, risalente alla seconda metà del XIII secolo, che nel manoscritto 345, ancora più antico, databile alla prima metà del XII secolo e situato alla Bodleian Library di Oxford[12]. In entrambi questi calendari la data di commemorazione della santa, come tradizione, era fissata per il 20 luglio.
A Torri la venerazione per S. Margherita è documentata fin dal XVII secolo[13].
La prima notizia di un altare dedicato a questa martire risale al 13 luglio 1634, al tempo della visita di Giovanni Battista Pietramellara, canonico della chiesa bolognese, delegato dall’arcivescovo Girolamo Colonna. Nel suo resoconto le poche parole interessanti l’argomento sono comunque sufficienti per attestare il culto per questa santa già in quel periodo[14].
Più importante è quanto contenuto nella relazione del cardinale Giacomo Boncompagni, che visitò la chiesa di S. Maria Assunta il 5 giugno del 1692. In essa si trova scritto: … fuit ad visitationem Altaris SS.mi Crucifixi, quod extat in parte opposita supradicto Altari [quello della Madonna del Rosario], ubi extat imago Christi Domini, quae mediat […] inter S. Margheritta, quae magna veneratione ab hoc populo colitur, et S. Catharina V. et M.[15] Non soltanto quindi si deduce l’esistenza di un quadro risalente al XVII secolo situato sopra l’altare del SS. Crocifisso e rappresentante Cristo in croce fra le due martiri, ma si apprende anche che S. Margherita era onorata (colitur) con grande devozione dal popolo di Torri[16].
Le sante ai lati della croce sulla quale è posto Cristo sono Margherita di Antiochia e Caterina d’Alessandria (figura 2). I loro attributi (rispettivamente il drago e la ruota dentata spezzata) non lasciano dubbi sulla loro interpretazione. Possiamo notare, in particolare, che la patrona di Torri è collocata in una posizione privilegiata, alla destra del Salvatore. Non solo guarda verso di lui con le braccia aperte, ma è collegata al Redentore tramite le parole cuius livore sanati sumus (la malignità è personificata dal demonio posto ai suoi piedi sotto forma di drago), le quali fanno seguito ad un’altra scritta posta in alto: Spes vera penitentium. La composizione risalta per il colore acceso delle vesti delle sante che emergono in primo piano rispetto al grigio-rosa dello sfondo[17]. Non sappiamo l’autore, ma sicuramente è stato un pittore che ha tenuto presente la grande tradizione italiana (quella di Simone Martini, per esempio, che per primo ha dipinto in lettere dorate sulla tavola dell’Annunciazione degli Uffizi le parole pronunciate dall’angelo alla Madonna). Al linearismo gotico, tuttavia, ha sostituito i mezzi espressivi del suo tempo, ovvero la teatralità degli atteggiamenti e l’arbitrarietà delle proporzioni delle figure in modo da coinvolgere lo spettatore secondo un intento controriformista e barocco.
La chiarezza del soggetto rappresentato non ha evitato che, con il trascorrere degli anni, si perdesse l’identità delle sante.
Don Petronio Pupilli, parroco di Torri dal 1777 al 1787, per esempio, nella compilazione di un inventario della chiesa, scrisse che nell’archivio si trovava un quadro di tela rappresentante il crocifisso colle Marie con sua cornice di legno dorata per uso d’altare con una coperta di tela (figura 3)[18]. Anche negli anni successivi si ripeté l’identificazione delle sante come Marie[19], mentre nel Novecento la Soprintendenza ai beni artistici definì il contenuto del quadro con la generica espressione di Crocifissione e santi[20].
La venerazione del paese di Torri per S. Margherita è attestata anche da altre testimonianze.
Nel Medioevo, dopo il Mille, numerose chiese e diocesi, oratori e cappelle, principi e prelatisi preoccuparonodi acquistareuna qualsiasi “reliquia” della santa[21]. Anche il paese di Torri non fece eccezione e si vantò di essere in possesso di alcuni frammenti del suo corpo.
In un inventario della chiesa di S. Maria non datato, ma risalente probabilmente al 1759, si afferma infatti che sopra l’altare del Santissimo Crocifisso, in un tabernacolo di legno dorato, si conservano dei resti sacri di S. Margherita Vergine e Martire e, precisamente, alcune particelle d’ossa agglutinate insieme, le quali stanno nel piedistallo d’una statua di detta santa di legno dorato col drago ai piedi (figura 4)[22].Questa attribuzione era stata stabilita con una perizia del signor Cammillo Bascherini, notaio pubblico bolognese, nel maggio del 1714. A parte che nella medesima chiesa vi erano pure alcuni cimeli dei santi Verecondo, Desiderio, Celestino e Severino, posti in due reliquari d’ottone inargentati, la cui veridicità era stata attestata con un rogito del 1713 dal medesimo notaio, le reliquie di S. Margherita assumono una certa importanza alla luce del culto del paese, nonostante rimanga il dubbio sulla loro attendibilità.
Nell’inventario del 1785, infatti, lo scrivente don Petronio Pupilli dichiarò che un sostituto del sig. cancelliere delle Potesterie inventariò candelieri, bracciali, lampade e perfino una corona d’argento posta sul capo della B. V. Maria, non così però notò le due reliquie dei santi martiri contenuti in un piccolo tabernacolo dell’Altare della Cintola[23]. Anche se non sappiamo a quali resti sacri in particolare il Pupilli si riferisse, certamente l’autenticità di tutti questi oggetti presenti nella chiesa fu messa in discussione perché il sostituto, anche se li aveva probabilmente visti, non si curò di prenderli in considerazione. Questo atteggiamento, del resto, interpretava fedelmente le opinioni del vescovo Ricci[24].
L’ultima menzione dei frammenti d’ossa di S. Margherita si ha quasi un secolo dopo. Nell’inventario redatto dopo la rinunzia di don Giuseppe Santini è ricordata l’esistenza di un tabernacolo a cassetta contenente un immagine in rilievo di legno dorato a mano rappresentante Santa Margherita e un drago con reliquia nello zoccolo[25]. Questo oggetto era stato spostato nella canonica attigua alla chiesa e doveva essere ormai malridotto, al punto che, dopo questa data, non se n’è saputo più niente[26].
Dai documenti in nostro possesso sappiamo che a Torri, per commemorare la santa, veniva allestito un banchetto pagato con i soldi e con i generi alimentari raccolti dai paesani nei giorni precedenti la festa. A questo pranzo, che poteva essere ripetuto più volte e che durava molte ore, venivano invitati anche i sacerdoti. Talvolta, però, la situazione poteva degenerare, come scrisse don Petronio Pupilli in una lettera inviata all’arcivescovo cardinale Andrea Gioannetti. Dopo aver manifestato il suo desiderio che la chiesa di Torri fosse resa indipendente da quella di Treppio, anche per accattivarsi l’appoggio del prelato bolognese, il parroco descrisse in modo molto critico come si svolgeva in questo paese la festa per S. Margherita (figura 5): Stimo dover mio render intesa l’eminenza vostra reverendissima come ab imemorabili si celebra in Torri ogn’anno una famosa, ma altretanto perniciosissima agape[27] sotto il titolo della festa di S. Margherita, che cade ai 20 di luglio, che più scandalosa non sò imaginarmi. Da due ofiziali del mio popolo elletti e scielti a capriccio del volgo, inconsulto parroco, tale sempre fù, ed è il costume, si fanno diverse colette in vari tempi di denaro, ed in generi, che adunate in una, monta ad una somma che non è indiferente. Il giorno di S. Margherita poi vengono invitati alcuni preti senza la dipendenza del parroco dai capi dell’agape ai quali soministrano la limosina di messa e refezione ben lauta nella casa del capo agape; indi s’introducono tutti del popolo ed anche extra popolo nella casa agape o di gozzoviglia, ed in più partite di tavole, principiando dalla mattina sino alla mezza notte, si distribuiscono uomini e donne, giovani e fanciulle, grandi e piccoli, quivi si mangia a quatro ganascie e si ubriacano come tanti Bacchi, si prorompe in mille sordidezze, e termina poi questa festa in adulteri, in incesti, in fornicazioni e perche ubriachi in risse, in archibugiate: ecco come si onora S. Margherita in Torri. Gl’offiziali poi capi agape, e come parassiti fanno il giorno di poi, dicono apoi S. Margheritina, riservandosi per se il miglior delle questue per divorarselo. Nelle mie prime introduzioni in Torri mi opposi ad un tanto abominevole costume, ma che conobbi che mi tiravo addosso la popolare odiosità, mi convenne tacere. Il presente offiziale di quest’agape, che è Vincenzio Bertinelli mio parrochiano, ha una quantità di misura di granella e forse anche denaro da esso raccolto, e questuato per la futura agape, bramerei che tutto li venisse fermato ed impiegato a pro’ della chiesa in aredi sacri trovandosi la chiesa medesima in precisa necessità, principalmente di un piviale cotta e stola parrocchiale di cui ne è afatto priva, ve’ un vecchio piviale ma da sospendersi[28].
Non sempre i torrigiani, tuttavia, si comportavano in tal modo. Nel 1854, per esempio, il ciborio di alabastro dell’altare dedicato alla Vergine di Antiochia fu sostituito con uno di noce utilizzando una parte dei redditi della festa di Santa Margherita[29].
Nel 1912 l’economo spirituale di Torri Ruben Michelacci, in risposta ai quesiti richiesti prima dell’imminente visita pastorale del vescovo Andrea Sarti, affermò che le feste patronali si celebrano con molta devozione e con frutto facendosi sempre in queste feste un buon numero di comunioni[30]. Fra queste celebrazioni sicuramente doveva esserci quella per S. Margherita che continuava, dunque, ad essere commemorata.
La devozione per questa santa è altresì attestata dalla dedica a lei della cappella di sinistra della chiesa allorché, nel 1839, ne fu costruita una nuova, a destra, intitolata alla Madonna del Rosario.
Dalla visita pastorale di Giovan Battista Rossi, effettuata a Torri il 3 agosto del 1840 al tempo di don Michele Bertinelli, si può dedurre, infatti, che la chiesa aveva assunto un impianto a croce latina immissa con i lati del transetto caratterizzati dalla presenza di due altari: quello a destra dedicato alla Madonna e quello a sinistra a Santa Margherita[31]. Tale situazione rimase anche in seguito[32], almeno fino al 1938, quando i fratelli Giuseppe e Manlio Matteoni cambiarono di fatto la dedica dell’altare di sinistra collocando nella nicchia del tabernacolo una statua di San Giuseppe con in braccio Gesù Bambino.
Un’altra dimostrazione di venerazione per questa martire avvenne nel 1933, quando il parroco don Leone Butelli, a nome del popolo di Torri, fece fondere addirittura una nuova campana dedicata esclusivamente a lei (figura 6). Al di sotto della figura della santa che tiene in mano la palma del martirio si legge: In onore di S. Margherita V. M. – Rifusa dal popolo – Parroco D. Leone Buselli – 1933[33].
Il culto per questa santa è attestato pure dalle immagini collocate all’interno della chiesa.
A parte il quadro del Seicento e la scultura del Settecento con le reliquie di cui abbiamo parlato, anche in tempi più recenti sono state donate opere raffiguranti S. Margherita.
Nel 1955 Francesco e Faustino Mattei offrirono alla parrocchia una statua che fu portata in processione dal popolo per tutta la seconda metà del XX secolo. Deterioratasi con il passare degli anni, fu sostituita, nel 2002, da un’altra opera in vetro-resina realizzata a Firenze[34].
Quest’ultima, tuttora in chiesa, riprende l’iconografia tradizionale della giovane e bella Margherita con in mano la croce e con il drago sconfitto ai suoi piedi (figura 7). Il dinamismo del portamento, accentuato dalla veste aggrovigliata, sembra placarsi nello sguardo sereno e insieme determinato di chi è consapevole di stare dalla parte della ragione con l’aiuto di Dio. Collocata vicino all’altare della Madonna del Rosario, fu fatta sfilare per l’ultima volta dai torrigiani in quello stesso anno. Come consuetudine, perché protettrice delle partorienti, furono le donne di Torri a portare la statua di S. Margherita in processione.
Oggi, nel XXI secolo, a Torri il culto di S. Margherita è caduto in disuso. Le cause di questo declino sono molteplici: lo spopolamento progressivo del paese che ha portato le famiglie a vivere in contesti con abitudini diverse, salvo ritornare per il breve periodo delle vacanze; la perdita di un’identità religiosa nella vita della comunità essendo rimaste, durante tutto l’anno, soltanto poche persone anziane; la perdita di consensi della religione cattolica. Ma anche un altro motivo è da considerare: la cancellazione di S. Margherita dal Calendario Romano generale da parte delle stesse autorità ecclesiastiche.
L’attendibilità di questa martire era stata messa in dubbio già nel V secolo, quando Papa Gelasio I (492-496) ritenne falsa la sua esistenza. Il suo culto, tuttavia, come detto, era stato ripreso da Rabano Mauro e aveva conosciuto una notevole diffusione soprattutto dopo la stesura della Legenda aurea. Fu nella seconda metà del Novecento, in accordo con i criteri fissati dal Concilio Vaticano II (1962-1965), che fu stabilita l’inconsistenza storica di questa santa e la sua esclusione dal Calendario Romano. Nonostante questo, fa ancora parte del Martirologio Romano[35].
S. Margherita, perciò, è stata relegata in una sorta di ambiguità sacrale che la gente comune non sempre riesce a comprendere.
Durante una visita pastorale di una quindicina di anni fa l’allora vescovo di Pistoia Simone Scatizzi, alla domanda di un torrigiano che chiedeva se era giusto o no venerare ancora la Martire di Antiochia, rispose in modo sintetico ma esaustivo che era legittimo continuare a farlo perché la devozione e l’amore non hanno confini e non conoscono restrizioni di alcun genere. Ma il suo messaggio non è stato ancora raccolto.
Figura 1 Martirologio di Rabano Mauro, St. Gallen (Svizzera), Stiftsbibliothek, Cod. Sang. 458, c.119 (seconda metà del IX secolo)
Figura 2 Il quadro della Crocifissione, Chiesa di Santa Maria Assunta, Torri, XVII secolo (foto di P. Borri)
Figura 3 Archivio Vescovile di Pistoia, Inventari 78, n.86, 2 agosto 1787, c.8 (partic.)
Figura 4 Archivio Arcivescovile di Bologna, Miscellanee vecchie, cart.209, fasc.23, Inventario s.d., c.4r (partic.)
Figura 5 Archivio Arcivescovile di Bologna, Miscellanee vecchie, cart.209, fasc.23, Lettera del 14-4-1783, c.1v (partic.)
Figura 6 Campana dedicata a S. Margherita, Campanile della chiesa di Santa Maria Assunta, Torri, 1933 (foto di A. Pucci)
Figura 7 Statua di S. Margherita, Chiesa di Santa Maria Assunta, Torri, 2002 secolo (foto di A. Pucci)
[1] In Italia si contano ben cinquantadue località per le quali è protettrice e patrona e almeno trenta chiese.Fra i luoghi più conosciuti vi sono Santa Margherita Ligure (GE) e Montefiascone (VT). In quest’ultimo comune, nella Basilica di S. Margherita, si conservano ancora le spoglie della santa. Secondo la tradizione, nel X secolo il corpo di S. Margherita fu trafugato da un certo Agostino da Pavia con l’intenzione di portarlo nella sua città. Giunto nell’abbazia di San Pietro in Valle Perlata presso Montefiascone si ammalò e morì lasciando in quel luogo la salma della martire. Questa, successivamente, fu trasportata nella cattedrale. Sono molteplici, tuttavia, sia in Italia che in Francia, le località che dichiarano di possedere varie parti del corpo della santa (cfr. infra nota 21).
[2] Limitandoci alle ultime pubblicazioni citiamo D. Bianchi, Vita di S. Margherita vergine e martire, Lucca, Scuola tipografica “Artigianelli”, 1939; D. Bacci, L’eroina di Antiochia, ossia Santa Margherita vergine e martire, Firenze, E. Ariani – L’arte della stampa, 1956; G. Tammi, Due versioni della leggenda di S. Margherita d’Antiochia in versi francesi del Medioevo, Piacenza, Scuola artigiana del libro, 1958; G. Monachesi, S. Margherita di Antiochia, patrona maggiore principale di tutto il comune di Santa Margherita Ligure, Rapallo Scuola tipografica S. Girolamo Emiliani, 1963; P. Pierrard, Dizionario dei nomi e dei santi, Roma, Gremese, 1990, p.149; R. Giorgi, Santi, Milano, Electa, 2002, pp.241-243.
[3] Rabano Mauro fu abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, entrambe località della Germania. Illustre erudito, scrisse numerose opere, fra cui il Martyrologium composto poco dopo l’anno 843. Venerato come santo, è commemorato il 4 febbraio.
[4] Jacobus de Voragine (forma da preferire sia a Jacopo da Varagine che a Jacopo da Varazze) fu un frate domenicano, nativo appunto di Varazze (comune della provincia di Savona), che divenne arcivescovo di Genova. Dopo la sua morte fu anche proclamato beato. Scrisse la Legenda aurea, una raccolta di 153 vite di santi che dette origine al più grande numero di manoscritti del Medioevo (almeno un migliaio conservati fino ad oggi) (J. Le Goff, “Legenda aurea” vero best-seller, recensione in “Avvenire/Agorà”, 20 novembre 2011) e a molte opere d’arte del XIV e XV secolo. Il racconto dei vari santi è strutturato nello stesso modo: descrizione dell’etimologia del suo nome, descrizione delle vicende della sua vita, descrizione della sua morte. Per l’autore il racconto è uno strumento di edificazione, che combina la lezione religiosa e il piacere della storia (P. Solari, Jacopo da Varazze e la Legenda aurea, “Caritas Ticino”, 2, 2012, pp.44-45). Per leggere il testo completo, data qui l’impossibilità di riportare le numerose edizioni, citiamo soltanto Jacopo da Varazze/Legenda aurea a cura di Alessandro e Lucetta Vitale Bovarone, Torino, Einaudi, 1995 (La vita di S. Margherita è alle pp.506-509).
[5] Nel Medio Oriente sono numerose le località che portano il nome di Antiochia, poiché vi furono molti re con il nome di Antioco. La città natale di Santa Margherita è da riconoscere in Antiochia di Pisidia, un tempo fiorente città romana i cui resti archeologici si trovano nell’odierna provincia turca di Isparta.
[6] Nella Legenda aurea si afferma, invece, che il drago le si slanciò contro per divorarla, ma sparì non appena Margherita fece il segno di croce (Legenda aurea, cit., p.507).
[7] Fu probabilmente per questo episodio che fu ritenuta la protettrice delle partorienti. Nella Legenda aurea, in ogni caso, si dice che, prima della decapitazione, Margherita si raccomandò a Dio affinché qualsiasi donna che si fosse trovata in difficoltà durante il parto e l’avesse invocata, avrebbe dato alla luce una creatura in buona salute. E una voce dal cielo la rassicurò che tutte le sue preghiere sarebbero state esaudite (Legenda aurea, cit., p.509).
[8] Secondo altre versioni Margherita sarebbe stata immersa in una caldaia d’olio o di acqua bollente (cfr. D. Bacci, L’eroina di Antiochia…, cit., p.184).
[9] Diocleziano († 313 d.C.) fu augusto d’Oriente e Massimiano († 310 d.C.) augusto d’occidente. Insieme ai due cesari Galerio e Costanzo formarono la cosiddetta tetrarchia, ossia il governo dei quattro.
[10] Per un elenco delle opere d’arte più importanti riproducenti S. Margherita cfr. D. Bacci, L’eroina di Antiochia…, cit., pp.176-189.
[11] N. Rauty, Il culto dei santi a Pistoia nel Medioevo, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo, 2000 (“Millennio medievale”, 24; “Studi”, 7), pp.215-217.
[12] Idem, frammento di calendario liturgico pistoiese del secolo XII in un manoscritto della Bodleian Library di Oxford, “Bullettino Storico Pistoiese”, CIV, Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 2002, pp.161-175.
[13] Archivio Arcivescovile di Bologna (in seguito AAB), Visite pastorali, vol.33 (H/525), c.150. Del culto per S. Margherita ne avevo già parlato in un altro mio saggio, cfr. A. Pucci, La casa e le tradizioni della gente di Torri (Sambuca Pistoiese), Sambuca Pistoiese, Associazione per lo Sviluppo Turistico di Torri, 2007, pp. non numerate, che qui ho rivisto e ampliato.
[14] La frase Viaticu(m) Alt(ari)s S. Margh(erit)e lapide opertu(m) aperiri fa parte degli “ordini” impartiti dal visitatore al parroco di Torri e si riferisce al fatto che il viatico dell’altare di S. Margherita, nascosto da una lapide, fosse reso manifesto.
[15] AAB, Visite pastorali, vol.73 (H/565), c.844v.
[16] Il quadro fu spostato dopo la demolizione degli altari laterali del SS. Crocifisso, della Madonna del Rosario e di S. Antonio da Padova situati lungo la navata. Ciò avvenne durante la ristrutturazione della chiesa per volontà del vescovo Scipione de’ Ricci (cfr. A. Pucci, La chiesa di Torri: note storiche dalle origini al XIX secolo, in Torri. Storia, Tradizioni, Cultura, Atti degli incontri culturali dal 1996 al 2002, a cura di P. Gioffredi, Associazione per lo sviluppo turistico di Torri, Società pistoiese di storia patria, Bologna, Rastignano, 2003, p.81). V. anche infra nota 18.
[17] Il dipinto è stato restaurato in modo ammirevole dalla dott. Paola Borri sotto l’alta sorveglianza della dott. Maria Cristina Masdea, funzionario della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. Questo intervento, che ha salvato l’opera da una sicura distruzione, è stato possibile con il contributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e con l’apporto, altrettanto determinante, dei torrigiani.
[18]Archivio Vescovile di Pistoia (in seguito AVP), Inventari 78, n.86, 2 agosto 1787, c.8. Per gli errori e le cancellazioni potrebbe essere una prima stesura di un’altra copia di contenuto analogo ma più corretta (AVP, Inventari 84, n.65, 2 agosto 1787, c.7). Il dipinto era stato momentaneamente spostato nell’archivio probabilmente in seguito alle demolizioni degli altari laterali e in attesa di una nuova sistemazione. A partire dal 1834 il quadro è documentato nella sua posizione attuale, ovvero sulla parete dietro l’altare.
[19] AVP, Inventari 84:n.68, 22 settembre 1834, c.3; n.69, 31 maggio 1849, cc.2-3; n.70, 2 ottobre 1854, c.3; n.71, 2 dicembre 1880, cc.11-12.
[20] La montagna pistoiese: il patrimonio artistico negli edifici di culto, a cura di A. Paolucci, Firenze, Centro Di, 1976, p.206.
[21] Fatto sta che varie parti del teschio, braccia e dita delle mani, costole e vertebre si trovano sparse in varie città e comuni dell’Europa occidentale: Colonia, Bruges, Douè-La-Fontaine, Tournai, Parigi, Montefiascone, Roma, Pavia, Bologna, Firenze, Arezzo, Brindisi, Trani, Palermo, Lisbona, Madrid (D. Bacci, L’eroina di Antiochia…, cit., pp.197-200).
[22] AAB, Miscellanee vecchie, cart. 209, fasc.23, Inventario senza data né firma, c.4r.
[23] AVP, Inventari 84, n.64, Inventario del 26 luglio 1785, cc.5-6.
[24] Le idee di Scipione de’ Ricci, espresse chiaramente nel Sinodo pistoiese del 1786 e nell’assemblea degli arcivescovi e dei vescovi della Toscana del 1787, sono evidenti anche in una minuta di legge inviata da lui stesso al granduca Leopoldo. All’art.72 si legge: Le reliquie che non hanno una morale certezza di loro autenticità, o sono fondate soltanto sopra vaghe tradizioni popolari, o che per una male intesa pietà servono di occasione alla superstizione del popolo, saranno assolutamente tolte. Non può piacere a Dio un culto che non è fondato sulla verità e non mantiene i giusti confini di una regolata devozione (B. Bocchini Camaiani, M. Verga, Lettere di Scipione de’ Ricci a Pietro Leopoldo 1780-1791, Firenze, Leo S. Olschki Editore, tomo II, doc. n.73, 23 novembre 1787, p.1051).
[25] AVP, Inventari 84, n.71, 2 dicembre 1880, c.2.
[26] Probabilmente perché costituito da materiale deperibile. Il reliquiario in argento, invece, quello di S. Verecondo, donato nel 1711 da Giovanni Batista Fabretti, è tuttora esistente ed è situato dentro un armadio nella sagrestia della chiesa. Un altro reliquiario analogo, donato nello stesso anno da un altro esponente della famiglia Fabbretti, non conserva più i cimeli degli altri santi ma una reliquia della santa croce.
[27] Con la parola àgape si indicava il banchetto che veniva allestito nelle prime comunità cristiane per ricordare l’ultima cena. Per estensione il vocabolo può essere riferito ad un convito fra amici.
[28] AAB, Miscellanee vecchie, cart.209, fasc.23, lettera del 14 aprile 1783, cc.1r-v. La trascrizione del documento è stata riportata come scritta nell’originale, senza apportare modifiche agli errori di ortografia e di sintassi.
[29] AVP, Inventari 84, n.70, 2 ottobre 1854, c.4.
[30] AVP, Visite pastorali, I. B. 25, fasc. XIV, Risposte ai quesiti della visita pastorale del 2 agosto 1912, c.2 (quesito 7°).
[31] AVP, Visite pastorali, I.B. 23, fasc. XIV, 3 agosto 1840, c.2 (integrazione a lato).
[32] AVP, Inventari 84: n.69, Inventario del 31 maggio 1849, c.4; n.70, Inventario del 2 ottobre 1854, c.4.
[33] L’errore del cognome Buselli invece di Butelli è forse dovuto al fatto che la campana fu fusa a Lucca, da I. Magni e F.llo, ossia da persone che non conoscevano direttamente il parroco di Torri e che probabilmente non avevano capito bene il nome da scrivere. Sul retro della campana, oltre all’iscrizione della bottega, è riportata l’immagine del Sacro Cuore e le parole A fulgure et tempestate – Libera nos Domine.
[34] La statua fu realizzata dagli alunni della IV M del Liceo Artistico Statale Leon Battista Alberti, sezione di Scandicci, sotto la guida dell’insegnante di discipline plastiche Marco Orsucci.
[35] A. Butler, Il primo grande dizionario dei santi secondo il calendario, Casale Monferrato (AL), Edizioni Piemme, 2001. Pubblicato per la prima volta negli anni 1756-1759, questo libro è stato più volte aggiornato, soprattutto negli ultimi anni. In questa edizione del 2001 S. Margherita non è presente perché esclusa dal Calendario Romano. Essa, tuttavia, fa ancora parte del Martirologio Romano con memoria liturgica fissata al 20 di luglio: cfr. R. Panzarino, I santi del calendario secondo il Martirologio Romano, Fasano di Brindisi, Schena Editore, 2004, p.139 (a. v. Marina). Da notare che in Oriente Margherita fu chiamata Marina e commemorata il 17 luglio. Sono comunque la stessa persona.
A. Pucci, Il culto di Santa Margherita a Torri fra verità e leggenda, “Nuèter”, XLIV, n.88, Porretta Terme, Gruppo di studi alta valle del Reno, dicembre 2018, pp.244-255.